In un vivaio, ci si immagina che ci siano solo le piante che devono esserci. Piante belle, sane, catalogate con il loro nome botanico, suddivise per collezioni vegetali, per esigenze di luce e di sole e quant’altro. In realtà ci sono anche le clandestine.
In un vivaio, ci si immagina che ci siano solo le piante che devono esserci. Piante belle, sane, catalogate con il loro nome botanico, suddivise per collezioni vegetali, per esigenze di luce e di sole e quant’altro.
In realtà ci sono anche le clandestine.
Che cosa significa “piante clandestine”
Sono quelle piante arrivate lì per caso – portate dal vento direbbe chi ha un animo romantico – oppure messe in un angolo perché sono stentarelle o se ne è perso il nome botanico. Strappando l’erba o concimando, si scopre una piantulilla o, se si ha lo sguardo reso acuto dall’esperienza, addirittura il dicotiledone (cioè la primissima fase dello stadio evolutivo da seme a pianta). Di solito ci si chiede: questa, chi è? E si decide di lasciarla crescere per scoprire, con l’andar del tempo, che quel dicotiledone è diventato un fico, oppure una calendula.
Succede in giardino, succede sul terrazzo. E anche in vivaio.
Recupero e riciclo, anche di piante
In un carcere, dove il recupero e il riciclo sono attività elevate ad arte perché i detenuti sono spesso privi di tutto o di moltissimo. E comunque privi delle molte cose che noi abbiamo all’esterno, tanto da riuscire a riutilizzare ogni oggetto per farlo diventare un altro: dalle cassette della frutta un armadietto, dalla piantana di un ventilatore una doccia per esterno, da una bicicletta scassata un risciò per trasporto merci.
Vita di uomini e di piante a Cascina Bollate
Un vivaio “fuori” tiene soltanto le piante che ritiene siano utili alla propria collezione e al proprio catalogo, un vivaio “dentro” fa di necessità virtù e tiene tutto o quasi. Da noi a Cascina Bollate c’è un giardiniere orientale, grande osservatore di piante e uomo riflessivo che, zitto zitto, in un angolo un po’ nascosto ha raccolto una quantità di piante, anche piccolissime, che per un motivo o per l’altro aveva trovato in giro. Giacché non parla bene l’italiano e tanto meno lo legge, si limita a raccoglierle e a guardarle crescere. E in questo modo ha creato un piccolo giardino in vaso che probabilmente avrebbe fatto la gioia di Ippolito Pizzetti, guru del giardinaggio italiano, autore della felice definizione di quello che dovrebbe essere un terrazzo ben riuscito. Un giardino in vaso, appunto.
Collezionare piante (anche senza pedigree)
Questa attitudine a raccattar piante è una caratteristica tipica degli appassionati di giardinaggio. Chi si innamora della forma di una foglia, chi di un fiore e poco importa che se ne conosca specie, genere o varietà. Si prende la piantina, la si mette in vaso e si aspetta. E così quel vaso con un’illustre sconosciuta dentro viene a far parte non solo del balcone o del giardino ma anche del proprio panorama botanico-affettivo.
La pianta “clandestina” per eccellenza: il ficus
Una delle piante che più tipicamente fa parte di questo giardino raccogliticcio, casuale e trovatello è il fico. Sembra una pianta banale, eppure nell’antichità, dall’India al Mediterraneo, era sacro: simbolo di conoscenza, di abbondanza e di fecondità.
Le foglie di fico – quelle che l’iconografia ci ha abituati a considerare l’oggetto più adatto, dopo le mutande, a coprire le parti intime – compaiono nell’Antico Testamento, là dove si narra della creazione dell’uomo e della sua cacciata dall’Eden. Forse non una mela, ma un fico era il frutto del peccato. E di frutti il fico ne produce moltissimi, quasi sempre.
Ficus selvatico e ficus domestico
Infatti non tutti sanno che, in natura, esistono un fico selvatico (Ficus carica caprificus), che non produce frutti commestibili, e uno domestico (Ficus carica sativa). E l’uno è garanzia di sopravvivenza dell’altro, grazie al blastofago, un insetto che passando dal Ficus caprificus al F. sativa ne realizza l’impollinazione. Senza la quale, niente frutti e – quel che è più grave per la specie – niente semi.
Quindi se avete un fico selvatico, non preoccupatevi: nei dintorni ce ne sarà uno domestico che darà frutti. Naturalmente questa distinzione sessista non vale per le varietà di fichi selezionate per il frutto: tantissime, dal Gentile al Rosso di Trani, passando per il Brogiotto nero ed il Dottato.